Innovare un’azienda, la collaborazione è la chiave

Il processo d’innovazione di un’azienda è frutto di una collaborazione attiva di tutte le realtà che la compongono e della capacità di modificarsi, di sperimentare e di adattarsi al cambiamento.

Il processo d’innovazione di un’azienda è frutto di una collaborazione attiva di tutte le realtà che la compongono e della capacità di modificarsi, di sperimentare e di adattarsi al cambiamento.

di Gianluca Oriani *
*  CEO Staufen Italia e Consulente Lean (Lean Enterprise, Lean Transformation)

 

Credo sia ormai un concetto acquisito dai più che l’innovazione non è il risultato dell’attività di un genio individuale che sforna l’idea geniale, o più semplicemente un’idea innovativa, ma è il risultato di un processo sociale nel quale lo scambio di idee tra esperienze e competenze diverse maturate e detenute rispettivamente da diversi individui collegati in rete porta all’innovazione. Susanne Justesen, una ricercatrice danese, ha coniato l’azzeccato neologismo “innoversity” per sottolineare le potenzialità dell’innovazione tramite la connessione di diversità (culturali e demografiche, ma soprattutto di domini di conoscenza).

Gli esperimenti organizzativamente più interessanti di spinta all’innovazione si incentrano tutti sulla possibilità di persone con competenze diverse di interagire in modo piuttosto libero, per generare opportunità di innovazione, per lo più in modo serendepico. L’idea nuova non nasce mai dal nulla, ma è l’applicazione di un concetto presente in un contesto a un altro contesto: la rete aiuta questa fertilizzazione incrociata. L’azienda non deve quindi fare affidamento sul singolo, ma su un ambiente che favorisca lo scambio di idee, solleciti l’individuazione del problema come opportunità e non come “errore” da nascondere, faciliti lo spirito di sperimentazione senza punire i possibili fallimenti (ancorché frutto di rischi controllati).

Evolversi per innovare

Durante il classico convegno annuale organizzato a Tokyo dalla JMA (Japanese Management Association), una sessione del quale è visibile nella foto in basso, che raccoglie testimonianze delle più importanti aziende giapponesi, convegno centrato sul “monodzukuri” (cioè la creazione di valore tramite l’innovazione interfunzionale), è emerso il concetto, più volte richiamato dai relatori, che l’innovazione è un processo sociale: l’azienda non deve quindi fare affidamento sul singolo genio, che può andarsene, ma su un ambiente favorevole alla fertilizzazione di idee nuove. È stato evidenziato anche da un relatore l’importanza di un approccio euristico al cambiamento: non si deve cercare di calcolare anticipatamente il RoI (Return on Investment), si devono invece fissare obiettivi sfidanti e imparare dall’esperienza (intesa in questo caso nel senso di sperimentazione, e non di ripetitività). Chiedersi qual è la capacità innovativa di un’organizzazione aziendale è dunque fondamentale per capire in che misura quell’azienda possa sfornare nuove idee in modo continuativo nel tempo, garantendosi la competitività.

La propensione al cambiamento

Staufen.Italia e la prestigiosa società di consulenza internazionale JMAC (JAM Consultant), che fa parte del Gruppo JMA, hanno lanciato una ricerca finalizzata a capire appunto qual è la capacità innovativa di un’azienda (“kakushin”, in giapponese). È stato a tal fine messo a disposizione dei manager italiani, gratuitamente, una versione semplificata di un questionario finalizzato a capire se le caratteristiche organizzative corrispondono a un ambiente che favorisce l’innovazione. Al questionario hanno risposto 100 manager di altrettante aziende, provenienti da diversi settori quali automotive, alimentare, macchine utensili e fashion. I risultati di questa ricerca, in elaborazione in Giappone, saranno presentati in un webinar programmato per lo scorso 16 giugno 2020. Avrebbe dovuto essere un convegno con testimonianze dall’Italia, dalla Germania e dal Giappone, ma purtroppo l’emergenza sanitaria ha costretto a spostare l’evento alla primavera 2021.

Come valutare un’azienda

La “Valutazione della Capacità di Innovazione” avviene tramite la compilazione di un questionario articolato in 6 dimensioni:

– Pianificazione di prodotto
La prima dimensione riguarda la capacità di pianificare, da un lato (ovvero la verifica della coerenza tra obiettivi di business e piani aziendali di medio termine e pianificazione di nuovi prodotti, e che i fattori critici per conseguire tali obiettivi siano definiti con chiarezza), e la cultura dell’innovazione dall’altro (ovvero il fare leva su processi di generazione di nuove idee – cioè non sul colpo di genio del singolo – in particolare la propensione a incentivare gli scambi informativi interfunzionali e interorganizzativi per dare l’opportunità di generare in libertà nuove idee).

– Development design promotion
La seconda dimensione riguarda l’organizzazione del processo di sviluppo prodotto, per quanto riguarda le prestazioni attese (se cioè gli obiettivi vengono fissati in ragione delle necessità di business e dei fattori competitivi), la pianificazione (se vengono pianificati i passi per gestire i fattori critici e raggiungere gli obiettivi prefissati), i modelli decisionali e di controllo avanzamento (se le decisioni di avanzamento o di eventuale sospensione del progetto sono normate da standard interni, nell’ambito di regolari design review), e le azioni in qualche modo di front loading (se lo sviluppo tecnologico necessario per un nuovo prodotto viene avviato prima dello sviluppo del prodotto stesso, per ridurre il rischio tecnico; se le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi di costo sono attivate all’inizio del processo di sviluppo).

– Production Engineering
La terza dimensione verifica l’applicazione del concurrent engineering, modalità nota da più di trent’anni ma ancora piuttosto negletta. L’assessment verifica direttamente l’applicazione del concetto organizzativo (s’indaga cioè se la progettazione del prodotto e del processo sono fatte simultaneamente), e indirettamente tramite i risultati (si chiede cioè se vi siano grandi problemi al momento dell’avvio della produzione). Si indaga anche la gestione organizzata della conoscenza, ovvero la capacità di incorporare sistematicamente in azienda gli sviluppi tecnologici senza dipendere dalle iniziative dei singoli.

– Tecnologia
Si valuta la capacità organizzativa di acquisire e di gestire in modo distribuito le conoscenze tecnologiche. Sia dal punto di vista di sapere internalizzare gli sviluppi tecnologici (valutando se i trend tecnologici siano incorporati sistematicamente all’interno dell’azienda, non dipendendo da iniziative individuali, e se vi sono partner tecnologici esterni che vengono coinvolti), sia dal punto di vista della crescita interna (è noto il livello di competitività della tecnologia padroneggiata internamente, e le varie funzioni sono a conoscenza degli sviluppi tecnologici portati avanti dall’azienda).

– Organizzazione
Una dimensione suggestiva è quella orientata a valutare l’orientamento dell’organizzazione a supportare l’innovazione. Si valuta quindi in che misura tutti siano coinvolti (se cioè tutti i dipendenti conoscano la vision aziendale); in che misura l’azienda premi o penalizzi il personale nell’affrontare i problemi, senza sentire il bisogno di nasconderli; se si investono abbastanza risorse in R&D, in particolare risorse umane (quantitativamente e qualitativamente); se si promuovono attività di miglioramento che creino una cultura diffusa dell’innovazione e del problema come opportunità.

– Infrastruttura
L’ultima dimensione indaga la dimensione più strettamente strumentale (la presenza degli strumenti di supporto alla progettazione), nonché la presenza di standard (materiali, componenti, tecnologici).

La collaborazione è la chiave

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a cura di Loris Cantarelli