Banda larga e competenze, gli ostacoli per le Pmi sulla strada del Digital Twin

La buona volontà non manca, per come rileva Osservatori.net, in tema di Digital Twin le PMI devono fare di più per rimanere competitive.

La Digital Twin è la sfida cruciale per le Pmi. Anche la Banda larga e le competenze sono la loro croce e delizia per mettere in pratica la trasformazione digitale che è una situazione sicuramente nota ai diretti interessati. Così come il doversi occupare delle questioni legate alla sostenibilità. I veri problemi arrivano quando bisogna tradurre tutto questo in pratica, e non necessariamente per questioni legate alla propria volontà.

È il problema di quella definita da Osservatori.net come la Digital Twin, sfida cruciale già iniziata e al centro della Ricerca 2023-24 dell’Osservatorio Innovazione Digitale.

Quando si entra nel merito della trasformazione digitale, in sinergia con la sostenibilità, nel complesso il quadro emergente dalla ricerca non si può considerare negativo. Diversi punti però, indicano la necessità di dare maggiore impulso alle azioni, superando anche questioni strutturali.Banda larga e competenze, gli ostacoli per le Pmi sulla strada del Digital Twin

Due problemi su tutti, connettività e competenze

«Abbiamo colto diversi aspetti legati in particolare alle competenze – spiega Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI. Quasi delle forche caudine, sotto le quali è necessario passare se si vuole gestire la trasformazione digitale e quella green. Cambiare cultura significa cambiare comportamenti, e quindi azioni, da parte di tutto l’ecosistema».

Banda larga e competenze, gli ostacoli per le Pmi sulla strada del Digital Twin
Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI

Per esempio, meno della metà delle imprese, il 49% può contare su un connessione FTTH, fondamentale per ottenere il meglio dagli investimenti in tecnologie. Inoltre bisogna registrare un 35% restio a investire per la difficoltà nell’inquadrare il reale impatto.

Se da una parte il supporto pubblico rimane un’ottima spinta, come dimostra il 65% pronto a cogliere le agevolazioni, c’è anche un 51% di aziende dove non esiste un programma di formazione continua e solamente un 10% pronto ad affidarsi a una figura specializzata. D’altra parte, il 35% considera le tematiche green una priorità.
Due quindi gli aspetti principali al centro dell’analisi e relativa discussione: l’infrastruttura ancora non abbastanza diffusa, ostacolo importante nel tessuto molto ramificato delle PMI, e una marcata carenza di competenze, in questo caso più di frequente anche per scelta.
«Senza tecnologia si rischia di restare emarginati dall’ecosistema – avverte Rorato -. Ma senza piloti non si ha la possibilità di sfruttarla a dovere. Serve agire con programmi verticali, rivolti ai lavoratori così come agli imprenditori».

Una visuale da allargare

Il quadro complessivo emerso dalla ricerca di Osservatori.net, non si può definire problematico, anche se non è il caso di essere troppo ottimisti.

Il 65% di Pmi pronto a investire in tutte le aree della trasformazione digitale e del green non deve nascondere quel restante terzo abbondante dove invece si fatica a inquadrare il potenziale o peggio ancora si sottovaluta la questione.

Se infatti il livello di attenzione verso gestionali o cybersecurity è diffuso, strumenti come business intelligenze, CRM, gestione dei pagamenti ed e-commerce procedono con fatica. «Gli investimenti sono ancora troppo orientati verso le tecnologie già diffuse – sottolinea Nicolò Ulderico Re, ricercatore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI -. Attività come analisi dei costi o le relazioni con i clienti sono considerate meno strategiche».Banda larga e competenze, gli ostacoli per le Pmi sulla strada del Digital Twin

In parte, questioni legate anche a un problema sempre più delicato, potenzialmente destinato a diventare critico se non affrontato per tempo. Fermo restando una carenza ormai accentuata di figure professionali, l’attenzione alle competenze resta inferiore alle necessità.

Solo il 51% nell’ultimo anno si è mosso per migliorare la situazione e in questo le Pmi segnano decisamente il passo. C’è infatti poca disponibilità a investire sui giovani, allargando sempre più il divario con le grandi aziende. Solo l’11% ha in corso collaborazioni con Università o centri di ricerca, privilegiando comunque consulenze già attive, a scapito di una maggiore attenzione verso i portatori di innovazione, come startup o incubatori.

Solo all’apparenza migliore l’attenzione verso la trasformazione green. Dietro al 76% pronto a ritenerla un obiettivo necessario, il 68% indica come stimolo principale tutelare la propria reputazione. Da valutare insieme al 65% diffidente nei reali vantaggi a lungo termine, e anche al 52% per cui si tratta di una quesitone di conformità. In pratica, un obbligo normativo.

D’altra parte, chi ci ha già creduto, ha buone ragioni per essere convinto della scelta. Il 74% punta a risultati nel risparmio energetico, mentre il 63% vede buone prospettive nella riduzione degli sprechi. Un altro 42% punta invece sul riciclo. Secondo gli analisti, è importante intervenire per migliorare la quota del 5% interessata a rivedere i design in ottica di maggiore riparabilità o utilizzo.
«Bisogna capire come aiutare le PMI a trasformarsi in modo vantaggioso – sottolinea Re – combinando trasformazione digitale e green nel loro stesso interesse. Solo un terzo di chi ritiene importante la trasformazione digitale ha una figura dedicata, altrimenti del tutto assente».

Un lavoro di squadra può sconfiggere i timori

Dall’insieme dei dati raccolti, Osservatori.net ha individuato quattro categorie di Pmi, equamente distribuite tra loro. Da una parte, i più equilibrati tra strategie digitali e green, i cosiddetti Digital & Green, suddivisi tra Leader ed Explorer. I primi, il 25%, hanno già riconosciuto la validità della doppia trasformazione e messo in pratica i relativi progetti.

Il 23% degli Explorer si sono già mossi anche se con maggiore prudenza, spesso in fase di valutazione sul come agire.
Poi, ci sono le situazioni più all’estremo. Il 23% dei Digital Driven Pioneers rivolge grande attenzione alla trasformazione digitale ma fatica invece a prendere in considerazione la sostenibilità. Il restante 29% rappresenta il vero e proprio punto dolente, di chi è ancora ai primi passi e guarda comunque con maggiore attenzione alle tecnologie, senza una strategia precisa.
«In fase decisionale è importante avere tutte le indicazioni utili a prendere interventi mirati e non generalisti – conclude Rorato. Rivelarsi così più efficienti nell’indirizzare i fondi, favorendo al tempo stesso la contaminazione tra filiere e distretti, dove PMI con gli stessi problemi possano essere in grado di supportarsi a vicenda».

Una panoramica del settore

Secondo i parametri UE, numero di dipendenti compreso tra dieci e 49 o un fatturato inferiore ai cinquanta milioni di euro, in Italia le Pmi sono oltre quota 233mila, su un totale di 4,6 milioni di imprese registrate. Come prevedibile, distribuite in prevalenza nel Nord, il 56%, rispetto al 21% presente nel Centro e il restante 23% con sede nel Sud del Paese. Conferme anche per quanto riguarda la distribuzione, con il 29% attivo nella manifattura, il 18% dedicato al commercio e il 12% attivo invece in attività di alloggio e ristorazione.

di Giovanni Ticozzi

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a cura di Stefano Belviolandi