La trasformazione 4.0 richiede un salto culturale: in assenza di adeguate competenze in grado di governare i processi innovativi ogni sforzo di modernizzazione rischia di essere vano
di Marco Calabrò, Dirigente presso il Ministero dello Sviluppo Economico nella Direzione Generale per la Politica Industriale, l’Innovazione e le PMI
La scarsa connettività in diverse aree del Paese è un punto chiave: se nella trasformazione 4.0 assume centralità l’interconnessione e non sono garantite le adeguate infrastrutture immateriali, allora l’integrazione e il trasferimento dei dati diventano criticità pesanti. Anche la stretta attualità ci racconta purtroppo l’esigenza di avere un Paese totalmente interconnesso. Sul tema della connettività e della rete in passato ci sono stati ritardi, legati più al processo di esecuzione che alle risorse allocate.
Se guardiamo invece al presente, il percorso è stato delineato a livello nazionale e comunitario con obiettivi più ambiziosi rispetto al passato: la percentuale di copertura della popolazione con banda ultralarga dovrà essere pari all’85% entro il 2020 e dovrà raggiungere tutte le aree di interesse economico e i poli industriali. Su questo tema si innesta anche il 5G, una tecnologia su cui il Ministero è molto attento e sta portando avanti sperimentazioni in tante città (Matera, Bari e L’Aquila, per esempio) con applicazioni in diversi ambiti: dalla sicurezza stradale alla robotica cooperativa fino ad applicazioni industriali e turistiche.
Ricordiamo però che la Trasformazione 4.0 prima ancora di un progresso tecnologico richiede un salto culturale: in assenza di adeguate competenze in grado di governare i processi innovativi, ogni sforzo di modernizzazione rischia di essere vano.
Il Piano Industria 4.0 nella sua prima fase era orientato verso l’agevolazione per l’acquisto di nuovi macchinari, così da ridurre l’obsolescenza del parco macchine italiano che aveva raggiunto valori fuori scala rispetto al resto d’Europa. Il Piano Industria 4.0 intendeva superare quello che in fisica si potrebbe definire “attrito di primo distacco” concentrandosi inizialmente sull’ammodernamento dei beni strumentali.
A distanza ormai di quattro anni, gli investimenti in tecnologie devono andare di pari passo con quelli in formazione: in assenza di adeguate competenze si crea un circolo perverso in cui si sostituiscono le vecchie macchine, ma le nuove sono sfruttate al 50% delle loro potenzialità.
Oggi la strategia per il successo è chiara: bisogna puntare tanto sulla tecnologia quanto sulla conoscenza.
a cura di Maria Bonaria Mereu
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