Accolto l’appello del Consiglio Nazionale del Notariato, si elimina la possibilità di costituire startup innovative via web a costo zero: occorre passare dai notai.
Accolto l’appello del Consiglio Nazionale del Notariato, si elimina la possibilità di costituire startup innovative via web a costo zero: occorre passare dai notai.
Una sentenza del Consiglio di Stato (integralmente disponibile a questo link) ha accolto il ricorso del Consiglio Nazionale del Notariato contro la norma per la registrazione semplificata delle start-up istituita dal Ministero dello Sviluppo Economico nel 2016, tornando così alla necessità di atti notarili. Un altro passo indietro nel semplificare la burocrazia anche per le realtà inevitabilmente più snelle.
Il provvedimento del MiSE dichiarava che «l’atto costitutivo e lo statuto, ove disgiunto, sono redatti in modalità esclusivamente informatica e portano l’impronta digitale di ciascuno dei sottoscrittori apposta a norma dell’art. 24 del Cad», sancendo la possibilità di registrare una società gratuitamente via web, con l’unica necessità della firma digitale.
Il Consiglio Nazionale del Notariato aveva fatto appello al TAR del Lazio e, dopo la sconfitta, aveva impugnato la sentenza, chiedendo il parere del Consiglio di Stato, il quale lo scorso lunedì 30 marzo ha certificato che il decreto del MiSE era in contrasto con il resto dell’ordinamento senza poter prevalere sulle altre fonti normative più importanti. La norma 2009/101/CE afferma infatti che «in tutti gli Stati membri la cui legislazione non preveda, all’atto della costituzione, un controllo preventivo, amministrativo o giudiziario, l’atto costitutivo e lo statuto della società e le loro modifiche devono rivestire la forma di atto pubblico»: in Italia sono richiesti controlli preventivi e quindi l’atto costitutivo non deve rivestire necessariamente questa forma, mentre il decreto afferma l’obbligatorietà di presentare l’atto pubblico costitutivo e non prevede la possibilità di passare per la costituzione tradizionale di una società.
In più l’Ufficio del Registro delle Imprese era stato deputato a effettuare i controlli, ma l’ampliamento delle responsabilità era stato effettuato senza aggiornare le relative normative e così creando un contrasto tra normativa preesistente e la nuova. Il Consiglio di Stato ha quindi affermato che «deve concludersi nel senso che, in primo luogo, come meglio di seguito precisato, l’atto amministrativo impugnato abbia illegittimamente ampliato l’ambito dei controlli dell’Ufficio del Registro dell’imprese, senza un’adeguata copertura legislativa che autorizzasse tale innovazione […]; di conseguenza, alla luce della natura del controllo effettuato dall’Ufficio del Registro nel nostro ordinamento, così come innanzi delineato, non appaiono infondati i dubbi dell’appellante circa la possibilità di ovviare alla modalità tradizionali di costituzione delle società, pena il concreto rischio di porsi in contrasto con la Direttiva citata».
Tutto nasce quindi dal fatto che il governo Renzi con il ministro Carlo Calenda nel 2016 scelse di usare lo strumento del decreto ministeriale anziché una modifica della legge esistente: con la seconda scelta, il problema non si sarebbe probabilmente presentato. La richiesta del Consiglio Nazionale del Notariato ha quindi avuto una base effettiva su cui poggiarsi, dato che il Parlamento non ha nemmeno modificato la situazione integrando il decreto.
a cura di Loris Cantarelli
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