La fabbricazione additiva apre alla possibilità di produrre oggetti con geometrie non realizzabili attraverso lavorazioni tradizionali.
La fabbricazione additiva apre alla possibilità di produrre oggetti con geometrie non realizzabili attraverso lavorazioni tradizionali.
Una delle caratteristiche più interessanti della fabbricazione additiva è senza dubbio la libertà di progettazione che essa offre, ossia la possibilità di realizzare geometrie molto complesse, svincolate dai limiti intrinseci delle tecnologie produttive con cui esse saranno realizzate. Il progettista può così guardare alla funzionalità dei componenti e ottenere prestazioni altrimenti impensabili (componenti più leggeri, che durano più a lungo, con caratteristiche meccaniche superiori, studiate per ottimizzare aspetti termici o fluidodinamici, etc). Anche l’efficienza dei processi produttivi migliora: parti che normalmente sono prodotte assemblando decine di elementi possono essere riprogettate e realizzate in un unico pezzo, come testimoniano applicazioni reali quali ugelli per l’immissione di propellente nel campo aeronautico o, più semplicemente, nuovi supporti per passacavi. Per arrivare a risultati come questi, occorre abbandonare le consuete pratiche di progettazione, tradizionalmente legate ai processi produttivi sottrattivi o di formatura, e andare oltre, perché ciò che prima si poteva solo immaginare o ottenere con molta difficoltà, ora si può realizzare con un unico processo. Si possono ad esempio realizzare elementi in sottosquadro, pareti a spessore variabile, fori intricati, parti integrate.
Un giunto brevettato
Questo tipo di approccio, adottato presso il Politecnico di Torino in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia, ha permesso di definire una nuova geometria di giunto articolare per applicazione aerospaziale, per la realizzazione di una sezione di esoscheletro pensata per le dita di una mano (brevetto TO2012A000902). Vi sono alcune applicazioni particolari in cui, per aiutare i movimenti delle articolazioni in condizioni particolarmente gravose o per riabilitazione, si rende necessario far indossare sull’arto una struttura esterna di supporto, che abbia un ruolo attivo nei movimenti. Queste strutture sono normalmente ingombranti, perché devono contenere cerniere o altri dispositivi che consentano la rotazione dei giunti. Se pensati per una mano, non essendoci sufficiente spazio tra le dita, l’esoscheletro deve svilupparsi principalmente sul dorso della stessa. Se l’esoscheletro deve poi essere inserito all’interno di un guanto, come nel caso di un astronauta, il suo utilizzo diviene impossibile. Occorre quindi pensare a nuove configurazioni geometriche e la produzione additiva viene in aiuto. L’idea è quella di eliminare la classica geometria della cerniera, per realizzare due forcelle contrapposte e integrate che si possano “indossare” sul dito e che ne permettano la flessione, seguendo l’asse di rotazione proprio dell’articolazione. Per avere il perfetto allineamento dell’asse di rotazione del giunto con quello naturale dell’articolazione, le dimensioni dell’esoscheletro devono essere personalizzate sull’individuo che lo indosserà, ma questo non è assolutamente un limite per le tecnologie additive: basta aggiornare il modello virtuale dell’esoscheletro stesso. Occorre ridurre gli ingombri al minimo, per riuscire a posizionare le forcelle seguendo lateralmente le falangi, dove lo spazio è ridotto. Per poter guidare il movimento del dito, la soluzione meno invasiva è quella di prevedere dei tiranti, collegati ad un azionamento che sarà posizionato sull’avambraccio in prossimità del polso. Per il passaggio dei tiranti bisogna prevedere dei canali all’interno delle forcelle. Si deve infine prestare attenzione al fatto che, durante il movimento dell’articolazione, i tiranti o la pelle non siano danneggiati (pizzicati) dall’esoscheletro stesso.
Ingombri minimi
Per quanto riguarda la tecnologia additiva scelta per la realizzazione del componente, si è fatto riferimento a un sistema di fusione laser basato su letto di polvere, avendo identificato come materiale una lega di alluminio per soddisfare i requisiti di resistenza meccanica. La configurazione geometrica finale è stata quindi definita sulla base di tutti questi presupposti, verificando il comportamento della struttura sotto carico mediante una simulazione numerica agli elementi finiti. Tale simulazione ha permesso tra l’altro di confermare la connessione delle forcelle anche in condizione di deformazione elastica. Volendo produrre l’esoscheletro in metallo, le due forcelle possono essere realizzate in un solo componente integrato purché si definisca la geometria in modo tale che non vi siano supporti nell’area di rotazione relativa (difficili poi da eliminare). Nella realizzazione di componenti metallici additivi, infatti, alcune superfici devono essere supportate affinché non si deformino a causa delle elevate tensioni interne generate dal processo di fusione della polvere e rapida solidificazione del materiale. I supporti possono essere evitati con un opportuno orientamento delle superfici all’interno del volume di costruzione della macchina, e di ciò si può tenere in conto già in fase di progettazione. Una condizione abbastanza comune è quella di angolare le superfici di 45° rispetto alla direzione di accrescimento.
Tali considerazioni hanno portato a una nuova soluzione di giunto articolare, mostrata in Figura 1. In Figura 2 si può osservare l’esoscheletro indossato sulla mano, in confronto a una soluzione studiata in campo riabilitativo presso la scuola universitaria Sant’Anna di Pisa (Figura 3). La differenza in termini di ingombro geometrico è evidente. Tale componente è stato realizzato in lega di alluminio con una macchina EOSint M270 presso l’Istituto Italiano di Tecnologia, sede di Torino.
Questa soluzione, sicuramente interessante, ha ancora un limite legato alla finitura superficiale attualmente ottenibile con sistemi di produzione additiva basati su letto di polvere: la qualità superficiale è paragonabile a quella di un componente ottenuto per microfusione, non adeguata quindi a zone che striscino l’una sull’altra. La conseguenza è infatti una rapida usura delle superfici, con aumento del gioco e compromissione della funzionalità del componente. La soluzione può essere duplice: migliorare la finitura superficiale con trattamenti successivi o adottare dei rivestimenti con materiali idonei. In entrambi i casi la ricerca sta andando avanti, per riuscire a venire incontro alle complessità geometriche realizzabili coi processi additivi.
a cura di Eleonora Atzeni
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