Confindustria Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto bocciano il decreto energia considerato poco incisivo. Secondo gli industriali servono misure più strutturali relative al taglio delle accise.
Il decreto energia delude le aziende. Le sigle Confindustria appartenenti ad alcune regioni italiane lanciano l’allarme e parlano di rischio paralisi proprio a causa della ‘debole’ portata del decreto energia recentemente varato dal Governo italiano.
L’associazione degli industriali, avendo studiato il decreto energia, critica sia l’indisponibilità a un taglio strutturale delle accise sui carburanti sia la mancanza di un tetto sul prezzo del gas. Il grido d’allarme degli industriali è forte e quasi unanime allo stesso tempo: l’intero sistema industriale italiano è a rischio paralisi tra aumenti di materie prime, difficoltà di approvvigionamento delle forniture e costo dell’energia.
Quello che gli industriali lamentano è la mancanza di determinazione di cui ci sarebbe bisogno e non hanno trovato nel decreto energia. «La scelta di intervenire con sconti e ristori temporanei limitati nel tempo e negli impatti, poi, è in contrasto con le previsioni, anche quelle meno pessimistiche, di alti livelli dei prezzi sui mercati energetici prolungati nel tempo», spiegano in un comunicato Confindustria Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto.
Inoltre «Sono poi irricevibili, causa insostenibilità, le ipotesi o gli scenari di riduzione teorici dei consumi energetici dell’industria. Le strategie europee, a partire dal Fitfor55, costruite e calate dall’alto, vanno riviste in una logica di transizione “sostenibile”, non di obiettivi astratti irraggiungibili per tutti i settori industriali, dalle plastiche all’auto. La transizione va discussa, condivisa e programmata insieme all’industria. Visto il diverso impatto del costo dell’energia nei vari Paesi europei le imprese italiane sono quelle la cui competitività è maggiormente a rischio».
La trasparenza del mercato energetico deve poter permettere di legare al costo delle forniture il prezzo al cliente, non ai valori oscillatori delle speculazioni quotidiane.
Anche il sistema fiscale che grava sui prodotti energetici va reso lineare, chiaro e trasparente. Non è possibile che le imposte raddoppino il costo del carburante e siano la sommatoria di accise accumulate nei decenni senza più alcun riferimento alla situazione attuale. Ecco, secondo le associazioni degli industriali una soluzione: il Portogallo dove il governo ha chiesto alla UE la riduzione dell’aliquota Iva dal 23% al 13%.
a cura di Stefano Belviolandi
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